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“Imparare” ed “insegnare”: perchè si confondono?
 

 

Capita spesso di sentir confondere due verbi come “insegnare” ed “imparare”.

Alla base dell’errore c’è spesso l’ignoranza della lingua italiana, ma anche il dialetto incide molto su questo tipo di errori. Con la scolarità di massa, infatti, non c’è più molta gente che non conosce un verbo comunissimo come “imparare”, eppure si dice “te lo imparo io” anche fra la gente “imparata”.

Ma perchè proprio questi due verbi e non altri?

Se parliamo in termini geografici, l’errore è diffuso un po’ in tutta Italia; in termini di età, invece, l’errore è molto frequente nei bambini non scolarizzati. La cosa interessante è che anche nei paesi di lingua inglese i bambini in età pre-scolare confondono “learn” e “teach”, quindi si può dedurre che non è un problema di assonanza delle due parole italiane, ma di area semantica comune.

Ad un esame attento di alcuni dialetti italiani, si scopre che in provincia di Catanzaro la confusione è dovuta al fatto che in dialetto si usa un verbo unico che può avere entrambi i significati. Una cosa analoga succede in Sicilia dove il verbo è lo stesso, ma viene usato in forma diversa (transitivo/intransitivo pronominale): ‘nzignari (insegnare) e ‘nzignarisi (imparare). “Mu ‘nzignai” significa “ho imparato” (lett: Me lo sono insegnato)... come dire che imparare equivale ad insegnare a se stessi!

Anche in napoletano si usa la stessa parola per esprimere i due concetti (imparare).

I periodi di dominazione francese hanno influenzato non poco quest’uso (come pure quello di utilizzare transitivamente verbi come salire, scendere, uscire ed entrare), ma i napoletani di oggi diranno “imparare” invece di “insegnare” per scelta, non certo per ignoranza. Allo stesso modo useranno come forma di cortesia il voi invece che il lei. Il lei infatti per un napoletano esprime distacco e distanza, mentre il voi rispetto: questo però è un retaggio spagnolo.

Possiamo concludere quindi che due possono essere i motivi della confusione: l’esecrabile ignoranza della lingua italiana (quando non è dovuta a motivi di età) e l’uso dei dialetti, che devono essere invece studiati, tramandati e mantenuti vivi accanto alla lingua nazionale come patrimonio culturale di eccezionale valore.

 


 

 

Islamico e musulmano
 

 

Ultimamente sentiamo e leggiamo spesso le parole "islamico" e "musulmano", ma non è molto chiaro se tra le due parole c’é differenza di significato o se sono dei veri e propri sinonimi.

Per fare un po’ di luce sul problema userò gli strumenti che la linguistica mette a disposizione.

Ogni parola è costituita da una "radice" e da una "flessione"; nelle lingue indoeuropee la radice di solito sta all'inizio della parola e la flessione segue il tema, ma nelle lingue semitiche (arabo ed ebraico) si ha una "radice triletterale" (di solito triconsonantica), con una "flessione interna", che consiste per lo più nel collocare opportunamente le vocali "attorno" o "in mezzo" alle consonanti che costituiscono la radice.

Ad esempio in arabo la radice triconsonantica K-T-B definisce tutto ciò che ha a che fare con la "scrittura".
Questa radice può essere flessa aggiungendo, appunto, delle vocali:
KaTaBa = egli scrisse
KiTaB = il libro
KuTuB = i libri
e via dicendo...

Venendo alla questione che vorrei chiarire, la radice araba triconsonantica S-L-M definisce tutto ciò che riguarda la "sottomissione" (é sottointeso che si tratta di sottomissione a Dio/Allah).

Le flessioni che ci riguardano sono le seguenti:
aSLaMa = egli si sottomise [verbo]
iSLaM = (atto della) sottomissione [sostantivo]
muSLiM = participio attivo del verbo "sottomettersi" [aggettivo o aggettivo sostantivato, quest'ultimo nel senso di "colui che si sottomette"]

(...vi ricordo anche SaLaM, che è l'effetto della sottomissione, ovvero la "pace"...)

Fin qui l'arabo.

Ora bisogna ricordare che da "muSLiM" il persiano (che è una lingua indoeuropea) costruisce il plurale in -a:n, sicché in persiano "coloro che si sottomettono" (alla volontà di Allah) sono i "muSLiMa:n".

Se vogliamo trasferire tutti questi termini nell'italiano dobbiamo decidere se:

1) italianizzare ogni singolo termine a partire dalla flessione araba e persiana,
oppure
2) italianizzare un solo termine per poi ottenere le flessioni nei modi previsti dall'italiano

1) Nel primo caso abbiamo "islàm" come sostantivo per indicare la "sottomissione ad Allah", dopodiché l'aggettivo corrispondente dovrebbe essere reso con "muslim" (come fanno gli inglesi), e invece italianizziamo la forma plurale persiana di un termine arabo per costruire il singolare dell'aggettivo italiano: "musulmano".

A me questa soluzione non piace, dunque

2) preferisco la seconda strada, che è quella di prendere "islàm" come sostantivo per indicare la "sottomissione ad Allah" per poi costruire l'aggettivo corrispondente usando la flessione prevista dall'italiano per aggettivare un sostantivo: "islam-ico".

In ogni caso dovrebbe essere chiaro che "islamico" = "musulmano" anche se qualcuno si ostina a volerci vedere delle "sfumature diverse".

Secondo il Cortelazzo-Zolli (Dizionario etimologico della lingua italiana) è stato introdotto per primo /mussulmano nel XVI secolo, corretto poi in /musulmano verso la fine del XVII secolo. Nel 1623 Pietro della Valle, grande viaggiatore nato a Roma nel 1586, usava direttamente il persiano /musliman. Il solito Cortelazzo-Zolli attesta l'uso di /islamico per la prima volta all'inizio del XX secolo.

Per quanto si è detto sopra, c'é chi sostiene che /musulmano potrebbe essere considerato un sinonimo arcaico di /islamico. Da questo punto di vista potremmo dire che /musulmano appartiene ad una epoca in cui le differenze etniche erano fortemente caratterizzate dalla religione.

C'é invece chi pensa che "musulmano" si stia specializzando come sostantivo e "islamico" come aggettivo.
Si dice: "i musulmani sono...", "un musulmano mi ha detto...", "l'arte islamica", "i paesi islamici", "l'integralismo islamico", ma quasi mai si sente dire: "gli islamici sono...", "un islamico mi ha detto...", "l'arte musulmana", "i paesi musulmani", "l'integralismo musulmano".
En passant, vi faccio notare come "islamista" stia scivolando sempre più dal significato originario di studioso di islamistica a quello di propugnatore dell'islam in politica... basta aprire un qualsiasi quotidiano.
...mi aspetto da un momento all'altro di assistere alla nascita di qualche neologismo, tipo "islamicista", per indicare lo studioso di islamistica!

 


 

 

Breve storia della lettera “Q”

 


La lettera Q esisteva già nell'alfabeto ben prima che gli etruschi e i latini l'adattassero alle loro lingue. In origine, la lettera indicava la consonante semitica, la "qaaf", che non esisteva nelle lingue indeuropee o in etrusco. Bisogna ricordare che le 22 lettere dell'alfabeto fenicio (e dei suoi derivati) non indicavano solo i suoni, ma anche i numeri: le prime nove lettere indicavano le unità da 1 a 9, le successive nove le decine da 10 a 90 e le rimanenti le centinaia da 100 a 400. Era quindi impossibile togliere o spostare lettere, perché si sarebbero venuti a creare "buchi" nel sistema di numerazione. Giova ricordare che anche i greci mantennero a lungo le lettere F (digamma), Q (koppa) e <sh> (sampi). Al massimo, come fecero i greci e gli etruschi, si poteva aggiungere qualche lettera alla fine dell'alfabeto, ottenendo dei numerali extra, utili per le centinaia da 500 in su.
Non ci sono prove dirette che gli etruschi usassero i valori numerici delle lettere (preferivano simboli numerici simili ai ben noti I, V, X, C, D e M), ma con molta probabilità la soggezione verso l'integrità della sequenza alfabetica era ancora ben viva. È probabilmente per questo motivo che non eliminarono mai dal loro alfabeto nessuna delle prime 22 lettere, nonostante molte di queste fossero perfettamente inutili nella loro lingua e quindi non si usassero mai (non avevano, per esempio, i suoni [b], [g] e [o]).
Quando i romani adottarono l'alfabeto etrusco si ritrovarono con ben tre lettere per scrivere il suono /k/ (C, K e Q) e neanche una per il suono /g/. Per risolvere il secondo problema, crearono la nuova lettera, G, e la misero nella posizione precedentemente occupata dalla Z, che per l'occasione abolirono (fu poi reintrodotta in età imperiale, per trascrivere parole di origine greca).
Per risolvere il problema della sovrabbondanza di segni per /k/, distribuirono le tre lettere sulle cinque vocali: /ka/ si scriveva <KA>, /ko/ e /ku/ si scrivevano <QO> e <QU> e /ki/ e /ke/ si scrivevano <CI> e <CE>. Successivamente, il sistema fu semplificato, usando la C con tutte le vocali e mantenendo la grafia <QU> solo per le consonanti /kw/, che in tal modo si potevano distinguere dalla sillaba /ku/.


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